Archivio mensile:novembre 2017

Straziami ma di baci sazziami

La Recensione de Nuatri

Io e Anna Maria ce semo visti il film Straziami ma di baci saziami. Stemo ancora ridenne e mo ve lo raccontemo. Anna è marchiggiana doc (o marchisciana) e io ce sto a provà, ché a me quella lingua me piace tanto.

Di Anna Maria

L’hai visto il film sennò na che l’hai da vedè, che poi ce famo na recensione pari pari a linguaggio. L’ho visto sì, me pare perfetto e preciso, se mischia er romano co la marchiggiana. Marchiggiano voi dì, linguaggio s’è mica femmina. Linguaggio eh appunto, na sta attenti proprio co questo caro mio che a fraintenne ce vole n’attimo, me vorrai mica fa confonne e famme fa un miscuglio gay, eh no, de romanzo popolare se tratta e qui se sa, voce de popolo voce de dio, na sta alla verità come menzogna detta, se po’ mica pervertì la perversione, certe cose se fanno ma nun se dicono insomma, non ce impicciamo eh, restamo in superficie pe la cosa lì, come se chiama mannaggia… quella che fa filà tutto liscio mentre dentro te rodi er fergato… il quieto vivere ecco! Vedi che bella parola, mica come quelle che me suggerisci tu, che poi te fai nemici, che secondo me te amano e te fanno bannà pe avette tutto per sé, e che ce vole a capì, oggi ce semo quasi e ancora se fa gli gnorri. E pe tornà ai giorni nostri mo’ tu t’hai da vedè Closer, come che è, naltro film, naltra lingua, sempre lo stesso minestrò travestito da minestra, dove appunto, ce se scambia le donne, ma quarcosa nun torna, e chi nun torna è l’omo pe l’omo capisci? Ma torniamo nelle grazie del signore, a sapè quale, perché poi tornacce se sa come se fa, l’importante è che nun se ne accorga delle tante pen.. azz no! pene non se po’ dì, sia mai lor signori fiutassero quarcosa, pasciò ecco, pe niente!!! ma quanto ce piace la pasciò, sai quella che ce scusa e ce fa fa le cose più insensate, ieri come oggi, non come quelle de ieri, ma sempre insensate so, se va avanti insomma perché come se dice correa l’anno… e pe tornà da dove siamo partiti appunto, quel che correa nella storia de sto film qua era il 1969 e semo a Roma, e se stanno a celebrà la Giornata folcloristica nazionale. Ecco che a un certo punto, nun te scocca er córpo de furmine tra un certo Marino e Marisa, e basta poco eh, du parole, perché lui romano de Roma se trasferisca da lei marchiggiana de le Marche.

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Eccoli dunque, che carini che so, e pure ingenui però, fanno na tenerezza… e certi giri ce stanno pure, come l’ostacolo che non po’ mancà. Prima er padre de lei se oppone, ma la divina provvidenza che ce sta a fa? Appunto, e siccome dio vede e provvede, quando se deve ripiglià sti due giovani che pare proprio che se vogliono suicidà, se riprende er… no siamo nelle Marche e se dice “lo” vecchio, ecco, ma non è che poi tutto po’ andà liscio come l’olio, e come se dice lo diavolo ce mette lo zampino, certo che se tirava via questo invece del vecchio, cioè tutto lo diavolo eh, no solo lo zampino come al solito, ma se sa, quei due glie piace giocà a rimpiattino co noi, e i tifosi de parte se ne accorgono mica, e procedono, pe modo de dì, verso un altro ostacolo. Eh sì, quello delle malelingue, ce n’è sempre una, che invaghita de Marino, glie fa crede che la sua Marisa mica se l’è tanto pura, qui mi sa so sforato co lo dialetto, facciamo che sia della malalingua via! E se torna a Roma, oh yea, questo deve esse no strascico de Closer, perché Marisa sconvolta qua se trasferisce, e così Marino dietro pe tornà da do era partito. E ne passa de tempo prima che i due se rincontrano, e quanno succede, l’amore se riaccenne sì, ma che te pareva, ecco nartro ostacolo, un certo Umberto sarto sordomuto che Marisa s’è sposato. Staorda però, perché è proprio vero che chi te toglie da l’impicci te c’ha messo, o pe nun da la soddisfazione a due creature umane de risolvelo da loro, perché pure il libero arbitrio, qui ar contrario, se dice ma nun se da, e se fa pe niente, dunque e pe questo a venì, decisi gli amanti a toglie de mezzo Umberto, il cosiddetto terzo incomodo, che poi fa comodo, da qui i sensi de corpa che poi so de indecisiò, mettono in atto de fa saltà la cucina e co questa pe aria il povero sarto, ma questo che te fa? invece de morì s’è preso solo un forte shock e non te racquista udito e parola? perdendo de diritto la moglie però eh sì, perché mo’ cià da scioglie er voto, come desiderio della madre, e se deve da fa frate cappuccino, e così… glie tocca pure da benedì “er” e “lo” matrimonio de Marino e Marisa.

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MARISA … FACCE TOCCA’ LA SISA

Di Giancarlo Buonofiglio

Dopo quello che ha scritto Anna me tocca parlà in marchisciano pure a me. E mo ce provo, guarda un po’. E voio dì na cosa, che a me Balestrini Marino me piace. Pure Marisa di Giovanni però, che lavora in fabbrica e fa i pantaloni da omo. Il film di Dino Risi è la storia di du giovani vittime dell’egoismo del mondo e della scarsa comprenzione che c’ha per noi giovani. Come quella tra Lara, Živago e Victor Komarovskij, ma il protagonista è l’amore, quello della canzone Nell’Immensità e nel senso che non esiste nulla all’infuori di esso. Con Marisa che sbuffa: musicabilmente me piace, ma le parole no. Sono scritte per chi si ama, come me e te. Tante grazie, e io sarei nullità? Nullità intesa in confronto all’immensità dell’infinito. Non mi convince pe niente, il nostro amore è lui l’immensità, nullità semmai sarà tutto il resto. In senso che non esiste altro all’infuori di esso, del nostro amore? E’, vidente. Può darsi, del resto è un concetto presente anche nella canzone C’è una casa bianca che.

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Marino (ntelligente, struito, che trovò di collocare il suo lavoro a Sacrofante) a un scerto punto va a cercà la fidanzata fuggita a Roma, dopo averla ‘ngiustamente accusata di essere stata pe l’alberghi con Scortichini Guido Komarovskij (che se tu sei il Gigante di Rodi io non so il nanetto de Biancaneve; ‘n campana). Fa il cameriere ma finisce in disgrazia e si butta nel Tevere. Prima però cerca conforto nel Telefono Amico:

– Psichiatra: Chi è Marisa?
– Marino: Eh… è la mia fid…
– Psichiatra: No, Marisa è la mamma!
– Marino: La mamma?
– Psichiatra: Il bisogno della mamma che lei probabilmente avrà perduto giovanissima…
– Marino: 86 anni.
– Psichiatra: Ecco, vede?”

Mo me tocca però che ve spiego il titolo mio: Marino comincia a strillà Marisa, Marisa… e uno che c’aveva le recchie comme lu somaru, gli risponde: facce toccà la sisa. Poco gentili questi romani; ma nelle Marche c’erano l’etruschi e apposta je l’hanno date. A me le sise me piacciono, per carità, ma non ne parlamo che il discorso è troppo spregiudicante. ‘Ntanto Marisa s’è sposata con Umberto Ciceri, sarto sordomuto che ordina il caffè fischiando e cucina come nonna quando te tocca la panza e dice: viè qua, che te la riempio. So corna e Marino gioca i numeri all’otto (fanno 58 e chissà poi perché); la vita è pur sempre una roda che gira e li sordi e l’anni non se rifiuteno mai. Torna ricco e spietato a riprendersi i ricordi, il sapore dei baci, un disco per l’estate, le domeniche a Macerata e la prima frase che mi scambiasti: gradisce una gomma alla licurizia? No, grazie annerisce i denti. Marisa cede (la musica è finita, gli amici se ne vanno, impossibile resistere al melodramma) e come nei romanzi d’amore progettano l’inzano gesto, liberarsi del sor Ciceri (ma il rimorso arriva subito: il nostro amore ce stava portando su una brutta china, come tante volte si legge sulla cronaca degli amanti diabolici).

Umberto Ciceri, all’apparenza omo mite e marito premuroso ma violento tra le lenzola: come si chiama uno (chiede Marisa) che nell’intimità mena la moglie? E che ne so, nervoso? Ma no, è un vizio, una perversità. Ma allora è un notanaso… un nasochista ! Ma il film va visto tutto, che qua con le parole famo notte.

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Marisa, facce toccà la sisa

Ora noi facciamo fatica a capire, ma anche quello era un modo per fare la corte. L’uomo era omo e pertanto mariulo, anche con le parole. Per quanto sgradevole, l’approccio urlato veniva comunque digerito in un mondo che parlava una lingua povera, contadina, almaccata dai fotoromanzi e dalle epiche del cinematografo, svincolata dai fasti grammaticali (che sono roba da signori). Ma è possibile che in tre mesi di questa schermaglia neanche un bacio? Tempo al tempo, Casanuovo. Una sintassi affrancata dalla scola, che si capisce meglio. Il sintagma percorreva la catena dei significanti e per metonimia la “sisa” prima che una metafora sessuale condensava il fotogramma della femmina (il profumo della tua pelle me fa ‘mpazzì… voglio ‘nfangà, voglio ‘nfangà). Storicizzandola anche. Corposa, materna, sostanziosa (ti mangerei; fallo… fallo). Perché la fame era fame e pure quello era un modo per saziarsi. Almeno l’occhi, come direbbe Marino. La lingua rurale tracciava la passione tra Marino e Marisa collocando la donna in un ambiente domestico e riproduttivo (Marisa mia, mia… mia… no sono la signora Ciceri; sempre di qualcuno ‘nzomma era). All’interno di un contesto familiare (pulito e immacolato: me so comportato sempre da gentilomo), il corpo femminile veniva abitato da significati che andavano al di là delle parole, diventando un modo per dare voce prima che ai ruoli tra maschio e femmina (so mai venuta qualche volta con te? Non ce sei venuta ma ce potevi venì, perché io so ‘n cavaliere e non ho ‘nsistito), a una narrazione romanzosentimentale come nel libro (o meglio nel film con Omar Sharif) di Pasternak, che ordinava la scena muovendo da un desiderio che pure c’era (hai voluto solo il mio corpo, non avrai la mia anima). Perché sempre di sceneggiata e di letteratura comunque si trattava.

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Pe concludere: Straziami ma di baci saziami racconta le peripezie rocambolesche di du giovani innamorati come Lara e Živago e del fantasma della gelosia che ha i muscoli di Scortichini Guido. Se ride e se piagne nel film, però se ride de più. E tu Anna cara, te la si fatta ‘na risata con me?

Link

Film completo su Youtube

Nell’immensità

Telefono amico

Regia: Dino Risi
Interpreti: Nino Manfredi, Ugo Tognazzi, Pamela Tiffin, Gigi Ballista, Moira Orfei, Ettore Garofolo
Durata: 100’
Origine: Italia/Francia, 1968
Genere: Commedia

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Pater Noster

Dalla tua poltrona dominavi il mondo. Solo il tuo punto di vista era giusto. Tu eri per me misura delle cose. Ai miei occhi assumevi l’aspetto enigmatico dei tiranni, la cui Legge si fonda sulla loro persona, non sul pensiero.

Frank Kafka

L’Edipo non potrà tenere indefinitivamente il cartellone di una società in cui sempre di più si perde il senso della tragedia.

Jacques Lacan

Negli anni cinquanta Lacan, pose l’attenzione su uno dei punti fondamentali della teoria freudiana, quello riguardante il complesso di Edipo, intuendone il suo declino. Verso la fine di quegli anni, infatti, la società, con il nuovo benessere economico sopraggiunto, stava avviandosi verso il cambiamento, che influenzò anche il modo di rapportarsi, a cominciare dal nucleo famigliare. Agli inizi degli anni settanta poi,  con il referendum in cui furono emanate le leggi sul divorzio e in seguito sull’aborto, si finì per dare il colpo di grazia alla tipica famiglia patriarcale, già man mano più instabile, e a venir meno, quella che era la figura saliente, su cui lo stesso sistema si reggeva: il Padre.

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Ecco dunque che l’Edipo, mito su cui Freud aveva costruito la sua teoria, non può più tenere il cartellone di una società, laddove il Padre che era Legge, perde la sua forza, e viene meno così, anche il senso stesso della tragedia, lasciando il posto vacante nell’ insensibilità con cui ci si fa portare dagli eventi, senza rendersi conto di ciò che questo comporta: l’indifferenziato e l’indistinto alle porte, il tutto arenatosi poi, nel nichilismo odierno. Eh sì, perché è la nostra identità a essere in gioco, poiché la funzione dell’Edipo nella teoria freudiana, è quella del Padre che impedisce il godimento del figlio nei confronti della Madre, riguardo la simbiosi, per consentire a questi, di uscire dalla dimensione di figlio e avviarsi alla costruzione di una propria identità con cui inserirsi nel mondo, nella società e nelle relazioni. Ecco dunque, che: “Del Padre si può farne a meno a condizione di servirsene”.  Non si tratta certo qui, del Padre in senso fisico, padrone assoluto e autoritario, ma del Padre come forma simbolica per cui, anche se più difficile, potrebbe essere la stessa Madre, poiché non è una questione personale o di genere, ma di presenza reale e di forza.

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Necessaria e vitale, è dunque questa forma simbolica, che muove di là da ogni tipologia di famiglia o di genere sessuale, e che metaforicamente parlando, taglia quel cordone ombelicale tra il bambino e la madre. E non è una divisione come si potrebbe pensare, ma un’unione reale, che nel rapporto simbiotico non può esserci, poiché ogni identità è annullata a favore di un desiderio fantasmagorico, senza considerare poi, che questo modo di relazionarsi, finisce per inficiare ogni relazione a venire, in quanto, non si può non mancare con l’altro, laddove si è mancati a se stessi.

“La vera funzione del Padre è quella di unire, [ecco l’elemento simbolico] e non di opporre un desiderio con la Legge.”

L’opposizione al desiderio del figlio con la Legge è tipica del padre padrone tradizionale, il quale, non avendo risolto il “proprio” desiderio e relativa mancanza, prodotta dallo stesso impedimento, da cui poi il desiderio inizia a scaturire, coinvolge il figlio a sua volta – com’è stato fatto con lui – in questo processo, imponendogli quello che viene percepito, come “suo” desiderio, cosa che del resto fa anche la madre in altri modi.

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Ecco che, per uscire da questo circolo senza fine, è indispensabile trovare quel Padre simbolico al di fuori di quello che è, il legame di sangue, se si vuole recuperare una propria integrità ed essere finalmente Soggetti in grado di amare, e non oggetti del cosiddetto amore altrui andato a male, vittime queste di un desiderio insoddisfatto, e che non potrà mai in questo modo, trovarvi soddisfazione.

Anna Maria Tocchetto

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