Archivio mensile:giugno 2020

La morte a Samarcanda

Chiunque voglia insegnarci una verità, non ce la dica: vi alluda semplicemente con un rapido gesto, che inizi nell’aria una traiettoria ideale, scorrendo sulla quale arriveremo da soli ai piedi della nuova verità.                                                               

José Ortega y Gasset

Ellissi del segno, eclissi del senso – illusione adescatrice. Distrazione mortale che un solo segno opera in un istante.

Come la storia del soldato  che incontra la Morte all’angolo di un mercato, e gli sembra che faccia un gesto minaccioso verso di lui. Corre al palazzo del Re e gli chiede il suo cavallo migliore per sfuggire alla Morte durante la notte, lontano, molto lontano,  fino a Samarcanda. Allora il Re convoca la Morte a palazzo per rimproverarla di aver spaventato così uno dei suoi migliori servitori. Ma la Morte, stupita,  gli risponde: ‹‹ Non volevo fargli paura. Era soltanto un gesto di stupore, vedendo qui quel soldato con cui avevo appuntamento domani a Samarcanda. ››

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Certo: è proprio cercando di sfuggire al destino che gli si corre incontro con maggior certezza. Certo: ciascuno cerca la propria morte, e gli atti mancati sono i più riusciti. Certo, i segni seguono percorsi inconsci. Tutto questo è indubbiamente la verità dell’appuntamento a Samarcanda, ma non spiega la seduzione del racconto, che non è certo un apologo di verità. La cosa stupefacente è che l’appuntamento ineluttabile non avrebbe avuto luogo, niente lascia pensare che il soldato si sarebbe recato a Samarcanda senza la casualità di quest’incontro, alla quale si aggiunge la casualità del gesto ingenuo della morte, che gioca suo malgrado come gesto di seduzione. Se la morte si fosse limitata a richiamare il soldato all’ordine, la storia sarebbe priva di fascino, mentre qui tutto si gioca su un unico segno involontario. La morte sembra priva di strategia, priva anche di astuzia inconscia, e di colpo assume la profondità inattesa della seduzione, vale a dire di ciò che passa accanto, del segno che procede come un ingiunzione mortale all’insaputa dei protagonisti (all’insaputa della stessa morte, e non soltanto del soldato), del segno aleatorio dietro il quale si opera un’altra congiunzione meravigliosa o nefasta. Congiunzione che conferisce alla traiettoria di questo segno tutte le caratteristiche di un motto di spirito.

Nessuno ha niente da rimproverarsi in questa storia – oppure è colpevole anche il Re, che ha prestato il suo cavallo. No: dietro la libertà apparente dei soggetti (la morte è libera di fare un gesto, il soldato è libero di fuggire), ciascuno ha seguito una regola che nessuno dei due conosceva. La regola di questo gioco, che deve, come ogni regola fondamentale, restar segreta, è che la morte non è un evento brutale e che ella deve, per compiersi, passare per la seduzione, vale a dire per una complicità istantanea e indecifrabile, per un segno, forse uno solo, che non sarà stato decifrato.

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La morte non è un destino oggettivo, ma un appuntamento. Neppure lei può recarvisi, perché è lei questo appuntamento, ossia la congiunzione allusiva dei segni e delle regole che fanno il gioco. La morte stessa è solo un elemento innocente, e questa è l’ironia segreta del racconto, che lo rende diverso da un apologo moralista o da una banale storia di pulsione di morte, e fa sì che lo si consideri un motto di spirito, nella sublimità del piacere. L’elemento spiritoso del racconto raddoppia l’elemento spiritoso del gesto della morte, e le due seduzioni, quella della morte e quella della storia, si confondono.

Lo stupore della morte è davvero incantevole, lo stupore per una situazione congegnata in modo così frivolo, e in cui le cose siano così abbandonate al caso: ‹‹ Quel soldato avrebbe comunque dovuto sapere che l’indomani si sarebbe dovuto trovare a Samarcanda, e quindi organizzarsi in tempo peresserci…››. Eppure la morte ha solo un gesto di stupore, come se la sua esistenza non dipendesse, come quella del soldato, dal fatto di incontrarsi a Samarcanda. Lascia fare, ed è proprio questa disinvoltura con se stessa a costituire il suo fascino – ciò per cui il soldato si affanna a raggiungerla.

Nè inconscio, né metafisica, né psicologia, in tutto questo. E neppure strategia. La morte non ha nessun piano. Rimedia al caso con la casualità di un gesto, è così che lavora, eppure tutto si compirà. Niente avrebbe potuto non compiersi, eppure tutto conserva la leggerezza del caso, del gesto furtivo, dell’incontro accidentale, del segno illeggibile. Così opera la seduzione…

Daltra parte il soldato si reca all’appuntamento con la morte per aver attribuito un senso a un gesto che non l’aveva, e che non lo riguardava. Ha pensato fosse rivolto a lui qualcosa che non lo era, come si pensa rivolto a noi un sorriso che ci sfiora leggermente e si dirige verso un altro. Sta qui la seduzione più profonda: nel non averne. L’uomo sedotto è preso suo malgrado nella rete dei segni che si perdono.

E questa storia è seducente proprio perché il segno è sviato dal suo senso, perché è ‹‹sedotto››. Infatti i segni diventano seducenti solo quando sono sedotti.

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