Esperienza vissuta e invenzione poetica

L’arte di vivere è l’arte di saper credere alle bugie.

Cesare Pavese

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Ogni momento della nostra vita fa crescere alcuni tentacoli del nostro essere e lascia che alcuni altri si atrofizzino, a seconda dellla nutrizione  che quel momento porta o non porta in se stesso. Arbe-Berberyan-Ara Berberyan_paintings_10Le nostre esperienze, come già si è detto, sono tutte, in tal senso, dei mezzi adatti alla nutrizione, ma sparsi con mano cieca, senza sapere qual è quello che ha fame e quello che ne ha abbastanza. E in conseguenza di questo casuale nutrimento delle parti, il polipo completamente sviluppato sarà qualcosa di così casuale  come lo è il suo divenire. Per dirla chiaramente: posto che un istinto si trovi al punto di bramare un appagamento – o di esercitare la sua forza, o di scaricarla in qualche modo o di colmare un vuoto – (questo è un discorso tutto metaforico): allora guarderà ad ogni avvenimento della giornata in vista di come possa utilizzarlo al suo scopo;  sia che l’uomo corra, o riposi, o si adiri, o legga, o parli, o combatta, o gioisca, nella sua sete l’istinto palpa, per così dire, ogni situazione in cui l’uomo venga a trovarsi, e se nella media dei casi non vi trova niente per sé, deve aspettare e continuare ad aver sete. Ancora un po’ di tempo e illanguidisce, ancora un paio di giorni o di mesi di inappagamento, e si inaridisce come una pianta senza pioggia. Forse questa crudeltà del caso balzerebbe in modo ancor più stridente agli occhi, se tutti gli istinti volessero prenderla in modo così radicale come fa la fame: questa infatti non si appaga di vivande sognate; ma la maggior parte degli istinti, in particolare i cosiddetti istinti morali, fanno proprio questo, – se è lecita la mia supposizione che i nostri sogni hanno appunto il senso e valore di compensare fino ad un certo grado quella casuale carenza di ‹‹nutrimento›› durante il giorno. Perché mai il sogno di ieri era pieno di tenerezza e di lacrime, quello dell’altro ieri scherzoso e baldanzoso, ed uno precedente avventuroso ed in una continua oscura ricerca? Per qual motivo io godo in questo le indescrivibili bellezze della musica, perché in un altro mi libro e volo, con l’estasi di un’aquila, su in alto verso le lontane vette dei monti? Queste invenzioni poetiche , che danno libero spazio e sfogo ai nostri impulsi di tenerezza  o di scherzo o di avventurosità  oppure al nostro desiderio di musica e di montagne  – ed ognuno avrà a disposizione i suoi esempi più calzanti – , sono interpretazioni dei nostri stimoli nervosi durante il sonno, interpretazioni assai libere, assai arbitrarie, dei movimenti del sangue  e dei visceri, del peso del braccio e delle coperte, dei suoni dei campanili, delle banderuole, dei nottambuli e di altre cose del genere. Arbe-Berberyan-Ara Berberyan_paintings_10Che questo testo, il quale, in generale, per una notte come per le altre rimane assai simile, venga commentato in maniere così diverse,  che la ragion poetante, oggi come ieri, si rappresenti cause così diverse per gli stessi stimoli nervosi: questo ha il suo motivo nel fatto che il suggeritore di questa ragione  oggi è stato diverso da quello di ieri, – un altro istinto voleva appagarsi, entrare in azione, esercitarsi, ristorarsi, sfogarsi, – appunto esso era al culmine del suo flutto, e ieri ce n’era un altro. – La vita desta non ha questa libertà di interpretazione come quella sognante, è meno poetica e sfrenata, –  non dovrò tuttavia forse concludere che i nostri istinti durante la veglia non fanno egualmente nient’altro che interpretare gli stimoli nervosi, e, a seconda della loro esigenza, disporne le ‹‹cause››? che tra veglia e sogno non v’è alcuna essenziale differenza? che perfino ad un confronto di stadi di civiltà assai diversi la libertà dell’interpretazione in stato di veglia, dell’uno, è del tutto equivalente alla libertà dell’altro nel sogno? che anche i nostri giudizi morali e apprezzamenti di valore sono solo immagini e fantasie costruite su un processo fisiologico a noi sconosciuto, una sorta di linguaggio acquisito con l’abitudine per designare certe stimolazioni nervose? che tutta la nostra cosiddetta coscienza è un commento più o meno fantastico ad un testo inconscio, forse inconoscibile, e tuttavia avvertito? Si prenda una piccola esperienza vissuta. Supponiamo di notare un giorno che qualcuno al mercato ride di noi, quando passiamo: a seconda che in noi sia proprio al suo punto massimo questo o quell’istinto, tale avvenimento per noi significherà questo o quest’altro, – e, a seconda del tipo di uomo che siamo, sarà un’avvenimento del tutto diverso. Chi lo prenderà come una goccia di pioggia, chi lo scuoterà da sé come un insetto, chi ne prenderà spunto per attaccar briga, chi verificherà se il suo vestito dia adito al riso, chi in seguito a questo rifletterà su ciò che in sé è ridicolo, a chi farà piacere l’aver dato, senza volere, un raggio di sole per la serenità e lo splendore del mondo – e in ogni caso un istinto vi avrà appagamento, sia esso dell’ira, o della voglia di litigare, o della riflessione, o della benevolenza. Questo istinto ha agguantato l’accaduto come fosse la sua preda: perché proprio questo? Poiché esso stava in agguato, assetato e affamato. – Di recente alle undici antimeridiane, d’improvviso, dinanzi a me, un uomo piombò a terra, come fulminato, tutte le donne dintorno cominciarono a gridare forte; io stesso lo rimisi in piedi e attesi che incominciasse di nuovo a parlare, – durante tutto questo non si mosse in me neanche un muscolo del volto e nessun sentimento, né quello dello spavento, né quello della compassione, avevo invece fatto quello che era più immediato e più razionale e me ne ero andato freddamente via. Posto che il giorno avanti mi fosse stato annunciato che l’indomani, alle undici, qualcuno sarebbe stramazzato a quel modo accanto a me,  – avrei sofferto in precedenza ogni sorta di tormenti, non avrei dormito la notte e forse nel momento decisivo, sarei diventato come quell’uomo, invece di aiutarlo. Frattanto infatti tutti i posibili istinti avrebbero avuto il tempo di rappresentarsi quell’esperienza e di commentarla. – Cosa sono dunque le nostre esperienze vissute? Molto più quel che noi vi mettiamo dentro di quanto è già in esse? Oppure bisogna addirittura dire: in sé, dentro, non v’è niente? L’interiore sperimentare è forse un inventare? –

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3 pensieri su “Esperienza vissuta e invenzione poetica

  1. anima silvae

    Intanto grazie per aver visitato il mio blog. Ci sono cocci da rimettere insieme, spazzatura da differenziare correttamente e molto di nuovo da costruire.
    Per cui, a maggior ragione grazie per aver apprezzato il poco che c’è.
    Qui è tutto molto interessante. Al punto che per un commento fatto come Dio comanda è meglio rimandare ad un momento in cui non sono sballottata su un autobus. Lieta di conoscerti.

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    1. miafenice Autore articolo

      Eh eh ci conosciamo già, sono Anna Maria, e grazie a te se vedo il tuo commento, ero nel tuo blog tornata a rileggere la tua presentazione, che oltrepassa la scrittura e si fa voce viva e reale, dici poco? Ti capisco, lo direi anch’io pensando ad altro al molto che c’è e che sono certa arriverà, come si dice: il buongiorno si vede dal mattino, ed è impossibile da immaginare guarda. Sto pensando di condividerlo su F.B. appena mi riesce a mettere insieme essere e tempo, che ho avuto una settimana difficile da non riuscire a scrivere, a te l’autobus e a me la vita me sta a sballottà, rido che qui le faccette non ce so, anche per il dialetto che adoro, ma grazie alla mia lingua che straamo. Come te sono poco esperta qui, il blog è regalo di un amico che ha avuto la pazienza ma anche amore di seguirmi e instradarmi, se fosse stato per me e avessi scritto ciò che accadeva in tempo reale, (magnifica questa cosa) ne avremmo sentite delle belle… dovrei stare e seguire di più, da mo’ che me lo dico, è più un’appendice di F.B che un blog, mentre invece trovo perfetto il tuo spirito, la tua sintonia, e che dire, mi auguro un bel contagio, in quest’abbraccio virtuale che ti mando…

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